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NUOVE NORMALITA'
Spazi, Architettura, Persone
Schio (VI) 3-11 maggio 2024 - Roma - Favara
Selezionati i progetti "Il tetto che vola", "Agnese's Loft" e "Swing Stair" di MetafoA
vedi anche ioarch.it/nuova-normalita-la-mostra-itinerante
Partecipazione al Convegno "ARCHITETTURA GASSOSA E REALISMO ECOLOGICO" nel contesto della Biennale di Venezia (giugno 2021)
ARCHITETTURA GENTILE_ CORPO, TAUTOLOGIA E METAFORA
di Dario Canciani
Di fronte ad un mondo dominato da ingiustizie sociali, fenomeni di immigrazione di massa, cambiamenti climatici estremi e da una pandemia che rischia di portarci all'estinzione, ha ancora senso occuparsi e discutere di architettura? E se si, qual' è il ruolo dell'architetto oggi?
La prima domanda è quasi retorica: l'architettura di fatto accompagna l'uomo dalla sua nascita e quindi non è concepibile una vita umana senza di essa.
L'uomo è l'unico essere vivente che costruisce
integralmente il proprio habitat e che in un certo senso si fa forgiare dalla
sovrastruttura culturale che comunitariamente e storicamente ha costruito.
L'uomo contempla se stesso in un mondo fatto da sé. Karl Marx in Manoscritti economico filosofici, 1884.
Occorre allora capire di quale architettura parliamo e soprattutto, quale è, e sarà, il ruolo dell'architetto nell'immediato futuro.
E' ormai chiaro a tutti che l'edilizia, di cui la nostra disciplina è purtroppo solo una piccola parte, ha grandi responsabilità in termini di produzione di CO2 e di modifica delle condizioni di vita del pianeta ed è quindi, almeno in parte, causa dell'attuale crisi climatica e pandemica.
Se, fino a pochi decenni fa, alla domanda “cos'è la città” si poteva rispondere “è il luogo degli scambi”, è ancora così oggi, se gli scambi, di merci, di pensiero, di cultura, avvengono in modi e luoghi per lo più virtuali?
Se la città storica, la città di pietra, era l'immagine
di quella celeste, di un ordine superiore platonico, oggi che molti vedono i
cieli vuoti e le ideologie scomparse, che la società è liquida (l'amico Emmanuele
Lo Giudice direbbe addirittura gassosa) di cosa è l'immagine? L'architettura
allora, in questo scenario, è chiamata a rappresentare questo vuoto o a
riempirlo?
Io credo che la nostra disciplina debba dar senso alla
vita, ma per farlo oggi deve probabilmente cambiare completamente metodo e
paradigma. La nostra società è complessa, multietnica, globale. Serve quindi un
modello nuovo, che non può che essere transdisciplinare, complesso, adattabile
ai mutamenti sempre più repentini. Forse, e mi collego quindi alla ricerca di
Lo Giudice, occorre davvero spostare la nostra attenzione dalle cose alle
relazioni.
Penso spesso ad una frase di Bruno Zevi (ma che
deriva di fatto ancor prima da Baudrillard):
la modernità è quella che trasforma una crisi in
valore e ne fa scaturire una estetica di rottura e di cambiamento.
Ecco allora i due concetti chiave: CRISI e FORMA.
L'architetto, da sempre, è chiamato a dare forma. Egli
produce artefatti, che pone in relazione ad altri artefatti ed alla natura.
L'architettura è costruzione reale e adeguata ma soprattutto, come affermava Lukacs,
deve evocare visivamente l'adeguatezza attraverso la sua forma!
L'architettura si pone tra la dimensione immensa del
paesaggio e quella umana, tra il trascendente e l'immanente, mettendoli in
relazione. Anzi: rende visibile, e quindi addomestica, la dimensione dello
spazio e del tempo infiniti, rendendoli alla portata umana. La spiritualità, la
democrazia, il potere, la giustizia e così via rischierebbero di rimanere
concetti astratti se non fossero resi visibili dalle nostre costruzioni.
L'architettura ha un suo corpo fisico che si relaziona
con quello umano, quella dimensione sensoriale che rivendico con forza: una
architettura solo cerebrale o visiva non è sufficiente per una vita umana
sensata.
L’architettura dà quindi forma e sostanza alle
istituzioni (così le chiamava Louis Kahn) e alle relazioni/gerarchie
valoriali e sociali.
Se guardiamo a tutta la storia dell'a nostra disciplina
possiamo dunque affermare che ci troviamo di fronte a delle costanti immutabili,
che potremmo chiamare TAUTOLOGIE, che ci permettono di identificarci e di
riconoscerci come esseri creatori ed appartenenti ad una cultura, ad un insieme
di valori, che il costruire rende tangibili. Ecco allora che, all'interno di un
determinato sistema culturale, una casa è una casa; una chiesa è una chiesa,
una porta è una porta, e così via.
Ma ci sono anche delle variazioni, per cui un tempio
greco è differente da una chiesa romanica, da una cattedrale gotica o da una
chiesa barocca. E questo perchè la visione del mondo di un uomo medioevale è
diversa da quella di colui che visse dopo Copernico e Galileo o
dopo i campi di sterminio nazisti.
L'architettura è METAFORA perchè oltre che alla
costruzione reale, rimanda ad altro: alla domesticità, alla spiritualità, al
passaggio! Allora, ad esempio, una porta è una porta ma è anche il passaggio da
una dimensione ad un’altra, è limite, ingresso, luogo mistico.
Ma oggi quale visione incarniamo e manifestiamo?
Io credo che occorra da una pare conservare ciò che
caratterizza l'architettura come tale, quella che ho definito tautologia, perchè
una chiesa non è un auditorium e men che meno può essere confuso con un centro
commerciale o direzionale; e dall’altra ci dobbiamo impegnare a trovare qual'è
la metafora da incarnare oggi, la visone del mondo, la crisi a cui dare forma.
Io personalmente auspico il passaggio da una architettura
arrogante, che vive nel mito della crescita continua, della saturazione, del
consumo (di spazi, di risorse, di tempo, ecc.) ad una architettura gentile,
ovvero in grado di liberare spazi, suolo, risorse. Auspico il passaggio da una
visone ego-centrica e competitiva ad una eco-logica (oikos, casa,
comunità...possibilmente resiliente.)
Dobbiamo evolvere dal mito della competizione/opposizione
a quello della collaborazione-adattabilità: ammiro sempre con stupore il
comportamento, la saggezza degli alberi al vento: si piegano, lo
assecondano senza opporre resistenza ed appena cessa... tornano diritti! Come
non rimanere affascinati dalle formiche o dalle api, la cui intelligenza di
sciame supera la somma delle singole intelligenze?
Così dovremmo fare anche noi e la nostra architettura!
Ma andando al sottotema vitruviano che è in qualche modo
tautologico in quanto, di fatto, antico quasi come l'architettura stessa,
proporrei questa rilettura:
FIRMITAS: da Massa/Forza ad elasticità, capacità di
adattamento, se vogliamo resilienza
UTILITAS: dal mito della funzione e specializzazione al
paradigma della flessibilità, che è molto più vicina alla condizione biologica,
molto più adeguata a questi periodi pandemici e, speriamo presto,
postpandemici.
VENUSTAS: la bellezza non come perfezione, forma chiusa,
ma come ibrido, forma aperta, capace di mutare, di adeguarsi velocemente alla
vita ed agli eventi. Parafrasando il Vangelo: non è l'uomo ad essere fatto per
l'architettura ma l'architettura per l'uomo.
Volendo cercare studi di architettura che
sistematicamente già oggi sono proiettati nella direzione sopra accennata
vorrei citare Lacaton e Vassal (Pritzker price2021). Li avevo già citati
nel mio Manifesto di una architettura gentile lo scorso anno,
all'interno del ciclo Panglossismo, “L'architetto post-pandemico curato
da Daniele Menichini e Diego Repetto ed ancora prima nel mio blog
Das Andere nel lontano settembre 2014 come esempio illuminante, come
nuovo paradigma.
La motivazione del premio Pritzker recita:
Per aver riesaminato la sostenibilità tenendo conto delle
preesistenti strutture, concependo i nuovi progetti a partire dall'attenta
analisi di ciò che esiste. E, soprattutto, dando priorità all'arricchimento
della vita delle persone attraverso il riconoscimento della libertà degli
utenti.
Anna Lacaton ha
dichiarato, relativamente alla loro visione dell'architettura, che: “deve
essere qualcosa di familiare, utile e bello, con la capacità di sostenere
tranquillamente la vita che si svolgerà al suo interno”
I fenomeni di rigenerazione urbana attraverso la
demolizione di interi quartieri di scarsa qualità o degradati sono noti e in
parte meritori, ma hanno spesso un effetto collaterale non secondario, quello
della cosiddetta gentrificazione: si spingono cioè le persone che
abitavano questi luoghi, diventati ora di moda e quindi costosi, a trasferirsi
altrove. Il problema quindi non viene risolto ma semplicemente spostato ancora
più in periferia.
Occorre dunque RIUSARE e RICLICLARE, fare dell’economia circolare una nuova estetica di rottura e cambiamento.
Dobbiamo, l'ho già detto, demolire più che costruire,
liberare spazio e territorio, che va reso quindi più verde e utilizzare ciò che
conserviamo, specie se di qualità con degli innesti leggeri, capaci di
rivitalizzare la preesistenza. Penso ad esempio agli strepitosi Capannoni
del Sale che Pier Luigi Nervi ha costruito a Tortona nel 1950
all’interno di un’ampia area produttiva, oggi inutilizzata.
Costruire sul costruito, dentro il costruito, sui tetti, tra una costruzione e un’altra.
Vorrei cioè proporre la metafora dell’innesto, dell'inserire qualcosa in qualcosa di già esistente, in una base solida e preesistente, qualcosa di diverso, di più piccolo e leggero, che diventi simbiotico con esso. L'immagine che mi sovviene è quella di nido, sia esso di uccelli o di insetti: strutture leggere, organiche, che si innestano/appoggiano con grazia ad altri elementi, naturali o antropici.
E' il caso di metodologie che potremmo definire “Plug-in” come per esempio PUP Architectssui tetti di Londra con Antepavilion MALKKA a Parigi con 3Box, ma mi piace ricordare anche esempi italiani come Mari e Lorusso a Polignano a mare.
Ritornando al tema del conservare o demolire, io ed il mio socio Matteo Massiglio abbiamo di recente (2015/2016) operato su un piccolo complesso tra le colline tortonesi, Casa Caterina, optando, sostenuti da un committente illuminato, per un processo di liberazione del paesaggio e quindi di selettiva demolizione, invece che per la saturazione-implementazione della massima volumetria costruibile. Il risultato, unito all'uso della luce e di materiali naturali come il legno di larice allo stato grezzo per implementare la sensorialità dell'intervento, è stato quello di ridurre la pressione antropica e di agire positivamente sul paesaggio e sulla qualità della vita, in primis, dei diretti fruitori. Caterina, per inciso, è il nome della figlia piccola dei nostri committenti, lei stessa una metafora del futuro.
E quando non possiamo fare a meno di costruire del nuovo, dobbiamo farlo con la gentilezza con cui un fenicottero tocca terra: col minor impatto/impronta possibile, come ha fatto Vittorio Giorgini, (1926-2010), architetto toscano semidimenticato, recentemente riscoperto da Luigi Prestinenza Puglisi ( Artribune 30 aprile 2019) e quindi da Alessandro Melis nella Biennale di Venezia 2020. Casa a Baratti (detta l'esagono), del 1957, una sorta di palafitta in legno, concepita per toccare il terreno nel modo più leggero possibile è paradigmatica. Diceva l'architetto “una fila di formiche in movimento non deve trovare muri sul suo tragitto”. Questa è “architettura gentile”
Glenn Murcutt rappresenta
un altro esempio tangibile e costante, un modus operandi, di come si può fare
grande architettura partendo da una rivisitazione della tradizione che, di
fatto, coincide con una totale adeguatezza alle condizioni ambientali, spesso
estreme, dei luoghi in cui si costruiranno i suoi edifici che potremmo
sbilanciarci a chiamare resilienti.
In modo analogo l'americano Rick Joy concepisce le
sue opere in stretta relazione con le condizioni ambientali estreme del
deserto. L'opera di Joy, molto sensoriale, nasce in risposta
all'ambiente; si adatta pur instaurando un dialogo franco e mai mimetico. Non
la si può sottrarre al suo ambiente senza che perda di significato. Ecco che
materiali e tecniche fino a poco tempo fa considerate desuete come la “terra
cruda” ridiventano modernissime.
Concludo ritornando al concetto di FORMA e alla frase di
Zevi:
la modernità è quella che trasforma una
crisi in valore e ne fa scaturire una estetica di rottura e di cambiamento.
per legarla alla crisi ecologica che stiamo
drammaticamente vivendo.
Non so ancora quali saranno le forme dell'architettura
del futuro ma credo di poter azzardare che non sarà solo con dei camouflage
verdi o con l'applicazione di tecnologie sostenibili(pannelli fotovoltaici ad esempio)
che potremo uscire dalla crisi con una nuova estetica; ma attraverso metodi e
materiali che, se usati secondo la loro natura (ecco ancora Kahn) e in
accordo alle leggi della Natura, sapranno produrre spontaneamente forme
adeguate e come tali belle.
La BELLEZZA! Termine per troppo tempo bandito perchè
ritenuto poco accademico, troppo generico, vago, soggettivo, ma che in fondo è
ciò che associamo alle grandi architetture, anche a quelle più eversive e
problematiche. Riconosciamo per istinto ciò che è vero, adeguato, ineluttabile
e non possiamo che definirlo bello.
Siamo esseri ontologicamente creativi e questa capacità è fondamentale specialmente nei momenti critici, e la nostra bellissima disciplina è un ibrido di scienza, cultura, tecnologia ed arte perchè ricordiamoci – come già diceva Giò Ponti- che “non è il cemento, non è il legno, non è la pietra, non è il vetro l'elemento più resistente. Il materiale più resistente nell'edilizia è l'arte”.
Ora il lettore più attento potrebbe domandarsi con scetticismo
se dovremmo uscire dalla crisi ecologica e pandemica (che poi sono connesse)
con l'arte, con la bellezza? Conservando le costanti (tautologia) e cercando
nuove metafore?
Il termine tautologia rimanda alle radici, a ciò che non
possiamo dimenticare o buttare, che fa parte di noi in modo fondativo e che è
immodificabile. Non possiamo perdere questa coscienza di noi stessi; il termine
metafora significa saper guardare con coraggio e realismo al momento presente e
futuro, l'essere pronti in maniera proattiva al cambiamento.
L'arte rappresenta in maniera evidente la capacità che
distingue l'essere umano da tutti gli altri: la creatività, il pensare non solo
in termini razionali di causa ed effetto ma anche esplorare strade nuove in
modo spontaneo, intuitivo, istintivo, laterale! Spesso l'arte precede di
decenni le scoperte scientifiche, come se l'uomo sapesse già, istintivamente,
ciò che poi riuscirà a dimostrare in modo razionale. E' il nostro modo di
rimanere profondamente noi stessi ma anche di essere aperti e partecipanti al
cambiamento.
L'uomo che in un momento di crisi abbandona le radici, la
capacità di guardare oltre e di trovare risposte creative è destinato
velocemente all'estinzione! E l'architettura che rinuncia a tendere all'arte,
rimane inesorabilmente pura e semplice edilizia.
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Contributo al catalogo Vol 02c -COMUNITA' RESILIENTI alla Biennale di Architettura di Venezia 2021
(con Federica Stella)
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Panglossismo-L'architetto post pandemico
Seminario online 17/04/2020 e pubblicazione giugno 2020 (Pacini editore)
Ingegno -in particolare n°27 (vedi www.ingenio-web.it/Sfogliabile/Ingenio27 a pag 40)
Contemporary architecture in the historical city
six proposals for rethinking hospital excellences in Pavia
Maggioli editore 2011
(link: maggioli )
( link: casa-luce-seconda-casa )
(link: maggioli )
Villa unifamiliare in Viguzzolo in "La casa in legno" _Maggioli editore, 2015
(link maggiolieditore.it )
Caterina's barn pubblicato sulla MONOGRAFIA PROGETTI LegnoArchitettura 2018
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